Il monito di Swatch: un gesto ingenuo diventato un boomerang

Nell’agosto 2025, Swatch ha lanciato con entusiasmo una campagna internazionale per promuovere una delle sue collezioni più innovative. Ma un gesto apparentemente innocuo — il modello che mimava gli “occhi a mandorla” — si è trasformato in un clamoroso passo falso. In Cina, quel gesto è stato percepito come offensivo, stereotipato e irrispettoso. Nel giro di poche ore la polemica è esplosa sui social, diventando una tempesta mediatica. Risultato? Campagna ritirata, calo del titolo in Borsa e reputazione incrinata.

Un errore tanto banale quanto emblematico: dimostra che senza un’attenta lettura del contesto, la creatività rischia di diventare un boomerang devastante.

Quando il messaggio cambia volto da Paese a Paese

La storia di Swatch non è isolata: la lista di campagne fraintese è lunga e istruttiva.

  • Sanex (Colgate-Palmolive) nel Regno Unito è stata accusata di razzismo per una pubblicità che, in modo maldestro, collegava la pelle scura a un “prima” difettoso e quella chiara a un “dopo” perfetto.
  • White Glo in Australia ha scelto lo slogan “Make the white choice”: uno slogan giudicato stonato, insensibile e culturalmente cieco.
  • Pepsi in Cina ha tradotto il suo entusiastico “Come alive with the Pepsi generation” in un macabro “Pepsi farà tornare in vita i tuoi antenati”.
  • Clairol in Germania ha lanciato il “Mist Stick”, senza accorgersi che Mist in tedesco significa… “letame”.
  • La campagna Pepsi–Kendall Jenner (2017) ha ridotto la complessità delle proteste sociali a un’operazione commerciale percepita come banale e opportunistica.

Tutti esempi di come un messaggio non sia mai universale: ciò che in un Paese può sembrare creativo e moderno, in un altro diventa ridicolo, volgare o addirittura offensivo.

Aneddoti culturali: i dettagli che cambiano tutto

Il bianco: in Occidente è simbolo di purezza, in Asia orientale è il colore del lutto.

Il numero 4: in Cina e Giappone è sinonimo di morte, come il 13 in Occidente.

Il gesto “OK”: per gli americani è approvazione, per i brasiliani è un insulto, per i giapponesi significa denaro.

Il viola in Italia: percepito come sfortunato, soprattutto nel teatro, per la sua associazione con la Quaresima.

Il pollice alzato: in Europa e USA significa approvazione; in Medio Oriente può assumere connotazioni offensive.

Il regalo dell’orologio: in Italia gesto elegante, in Cina presagio di morte.

Piccoli dettagli che, però, hanno un impatto gigantesco sulla percezione di un brand.

Marketing Culturale: la chiave per adattarsi ai contesti

Da questi esempi emerge con chiarezza il valore del Marketing Culturale, ovvero quell’approccio strategico che integra analisi antropologica, semiotica e sociale nella pianificazione di brand e campagne.

Fare marketing culturale significa leggere i codici simbolici di un Paese, comprenderne tabù, rituali, colori e linguaggi, per costruire una comunicazione che non solo non offenda, ma sappia entrare in empatia con i consumatori. È un’arma potente: trasforma la diversità in un alleato competitivo e consente ai brand di essere percepiti come autentici e rispettosi.

Come affermava Geert Hofstede, pioniere degli studi interculturali:

“La cultura è la programmazione collettiva della mente che distingue i membri di un gruppo o di una categoria di persone dagli altri.”

Questa frase racchiude l’essenza del marketing culturale: senza comprendere la “programmazione collettiva” di un mercato, ogni strategia rischia di essere travisata.

Dati concreti: il valore del Made in Italy nel mondo

Dietro queste dinamiche culturali si muove un mercato enorme.

L’Italia è oggi il 5° esportatore mondiale, con un export che nel 2023 ha superato i 651 miliardi di dollari. Le esportazioni extra-UE del Made in Italy hanno raggiunto i 305 miliardi di euro, con l’obiettivo ambizioso di arrivare a 700 miliardi entro il 2027. I settori protagonisti sono vino e bevande (+9,4 %), moda e tessile (+6,1 %), mobili (+6,0 %), macchinari (+5,4 %) e gioielli (+5,0 %).

Questi numeri confermano che ogni errore culturale può costare caro: perdere credibilità in un mercato significa compromettere quote di fatturato vitali.

Casi di successo: l’Italia che sa adattarsi

Non mancano esempi luminosi di aziende italiane che hanno saputo unire tradizione e adattamento.

Ferrero in Cina: oggi il gruppo vale 18,4 miliardi di euro di fatturato, con oltre 600 milioni solo nel mercato cinese, dove ha saputo presentare i suoi prodotti non come “colazioni all’occidentale” ma come dolci da regalo, in linea con le abitudini locali.

Lavazza negli USA: nel 2024 ha superato i 3,3 miliardi di euro di ricavi (+9,1 %), adattando le miscele alle preferenze del caffè filtrato senza perdere l’anima italiana.

Barilla: con un giro d’affari di quasi 4,9 miliardi di euro, ha rafforzato la sua reputazione internazionale anche grazie a campagne inclusive, diventando un simbolo di innovazione responsabile.

Luxottica: ha studiato collezioni dedicate ai mercati asiatici, adattando forme e calzate, conquistando così la leadership globale nell’occhialeria.

Enel in Sud America: ha unito energia e sostenibilità, investendo non solo in infrastrutture ma anche in progetti sociali che hanno rafforzato la sua immagine di attore responsabile e lungimirante.

Questi esempi dimostrano che il Made in Italy vince quando sa ascoltare, comprendere e rispettare i mercati in cui opera, applicando in pieno i principi del marketing culturale.

La bussola culturale di Business Intelligence Group

 

 

La bussola culturale di Business Intelligence Group

Per le aziende italiane che sognano l’internazionalizzazione e per le multinazionali che desiderano entrare in Italia, Business Intelligence Group rappresenta una bussola strategica.

Aiuta le imprese italiane esportatrici a interpretare simboli, valori e consumi dei mercati esteri. Supporta le multinazionali straniere nel leggere la complessa sensibilità dei consumatori italiani.

Il tutto grazie a un approccio che unisce analisi culturale, ricerca di mercato, business intelligence avanzata e collaborazione con istituti accademici di primo livello.

Il risultato? Strategie capaci di ridurre i rischi reputazionali e di moltiplicare le opportunità commerciali.