A Bruxelles è stata finalmente presentata la strategia italiana sull’intelligenza artificiale (AI) per il triennio 2022-2024. Lungamente attesa, questa proposta avrà come scopo quello di attingere ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per il digitale.

260 le aziende italiane proponenti progetti di AI:  tra cui 55% nel settore marketing, salute, finanza e cybersecurity

Il problema maggiore emerge da una analisi del Politecnico di Milano che ha recentemente segnalato come il 53% delle attività di impresa medio-grandi italiane non abbiano ancora dichiarato l’avvio di un progetto in cui l’Intelligenza Artificiale fosse inclusa nella propria strategia. Le aziende che utilizzano maggiormente queste tecnologie sono il manifatturiero (22%), bancario-finanziario (16%) e assicurativo (10%)”.

 

 

La situazione italiana

Guardando ai numeri di Bruxelles, la situazione italiana è poco incoraggiante. Siamo ai fanalini di coda europei per progetti presentati, e il divario rispetto alla Germania è abissale. Per cominciare l’Italia spende la metà in ricerca (1,45% del PIL) rispetto alla Germania (3,17%). I ricercatori che si occupano di AI (739) sono meno di un terzo di quelli di Germania (2.660), Francia (2.755) e Regno Unito (2.974) anche se producono in ricerca molto più rispetto ai colleghi europei.

Quello in cui pecca ulteriormente l’Italia sono le domande di brevetto, con appena 32.001 domande di fronte alle 178.184 tedesche, alle 67.294 francesi e alle 54.762 inglesi siamo ancora molto indietro.

Anche nel settore privato gli investimenti che le aziende attivano sulla intelligenza artificiale ammontano allo 0,84% del pil del 2018, all’incirca un terzo degli investimenti delle aziende tedesche.

Il problema maggiore nel Bel Paese è l’assenza del terreno fertile su cui dovrebbe crescere la nuova generazione di esperti: in Italia uno studente che svolga il dottorato riceve 15.000 euro lordi l’anno. Al contro in Germania sono 48.000. Si spiega così il perché della fuga di cervelli.

L’Italia ha finalmente una opportunità di mettersi al passo con gli altri paesi europei: nel piano nazionale presentato a Bruxelles si parla di investimenti nel pubblico e nel privato con un occhio di riguardo alla  sostenibilità ambientale.

La formazione: altro anello debole italiano

La formazione è il nostro punto debole: bisognerà investire con borse di dottorato che siano anche solo paragonabili ad altri membri della UE, e iniziando la formazione sin dai primi anni di scuola.

Le aziende italiane continuano infatti a lamentarsi di non trovare persone qualificate, senza contare che secondo le previsioni del World Economic Forum ci si attendono 97 milioni di nuovi posti di lavoro  nel settore.

Una sfida cui le imprese italiane non devono mancare per poter continuare ad essere competitive.

 

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