Viviamo in un tempo che esalta l’individuo. Ogni giorno ci viene detto che dobbiamo essere autosufficienti, che l’autonomia è un valore, che la libertà personale è il fine ultimo. Eppure, mentre costruiamo intorno a noi muri invisibili, il mercato ci osserva — e capitalizza.

Sì, perché c’è un dato sempre più evidente e inquietante: più siamo soli, più consumiamo. Non per reale necessità, ma per riempire spazi vuoti. Nessuno ci frena, nessuno ci confronta, nessuno ci contiene. E così diventiamo il target perfetto: disponibili, suggestionabili, reattivi.

Questa è la strategia dell’individualismo programmato, una dinamica silenziosa che sta riscrivendo non solo il marketing, ma anche il nostro modo di vivere, abitare e relazionarci.

La fine del “noi”: come è cambiata la famiglia

Negli anni ’50 la famiglia italiana era larga, intergenerazionale, rurale. Si viveva in tanti, spesso sotto lo stesso tetto. Le decisioni erano collettive, la spesa veniva pianificata, la tavola era il centro della vita sociale.

Negli anni ’70 e ’80, con l’urbanizzazione e il boom industriale, si afferma la famiglia “nucleare”: due genitori, uno o due figli. L’auto, la TV, la lavatrice entrano in casa. Si consuma di più, ma ancora insieme. Il momento della cena resta un rituale.

Oggi la situazione è completamente diversa. Le famiglie si sono frammentate, ridotte, disarticolate. Secondo l’ISTAT, oltre il 30% delle famiglie italiane è composta da una sola persona. In molte città, le famiglie monogenitoriali superano quelle coniugate con figli. La convivenza si accorcia, le separazioni aumentano, i figli arrivano tardi — o non arrivano affatto.

Il risultato? Le reti decisionali condivise sono sempre più rare. E quando non si decide più insieme, si inizia a consumare da soli.

Grafico sull'evoluzione della composizione delle famiglie italiane dal 1951 al 2025

Come è cambiata la famiglia in italia

I giovani non condividono più (quasi) nulla

Basta osservare le abitudini dei più giovani per capire cosa sta accadendo. La gran parte dei ragazzi fruisce di contenuti da solo, sul proprio smartphone, con cuffie nelle orecchie. Guardano Netflix in camera, ascoltano Spotify in solitudine, ordinano cibo da una app e mangiano davanti a TikTok. Anche la musica — un tempo esperienza collettiva per eccellenza — è diventata intima, autoreferenziale, silenziosa.

A scuola o in famiglia, si parla meno. I momenti di aggregazione sono sempre più rari. Il rischio di isolamento è concreto e diffuso. Il fenomeno degli hikikomori — giovani che si ritirano dalla vita sociale per mesi, a volte anni — non è più un’eccezione: le stime parlano di oltre 100.000 casi in Italia.

Eppure, a ogni interazione solitaria corrisponde un’opportunità commerciale. Più un ragazzo è solo, più tempo passa sui social, più è influenzabile da contenuti promozionali, più è propenso all’acquisto d’impulso. Il mercato questo lo sa benissimo. E lo asseconda.

Cucinare per sé? Sempre meno. Ma con più sprechi

Un altro segnale evidente del nuovo paradigma è il rapporto con il cibo. Quando si vive soli, si cucina meno. Non c’è il desiderio di preparare un pasto elaborato per se stessi, non si fanno scorte intelligenti, non si condividono avanzi.

Il risultato? Più food delivery, più snack confezionati, più acquisti inutili. E soprattutto: più spreco.

Uno studio Altroconsumo ha stimato che una persona che vive da sola spende quasi il 30% in più in cibo rispetto a una persona all’interno di un nucleo familiare. Non solo: è anche responsabile di una quota sproporzionata di spreco alimentare. Basta pensare a quanta insalata, frutta, pane o yogurt viene comprato e poi buttato perché non si è avuto voglia di cucinarlo o consumarlo in tempo.

Ma non è solo il cibo. Le bollette di luce, gas e acqua sono più alte per chi vive da solo, perché manca l’economia di scala. Si lavano meno stoviglie ma più spesso, si scaldano spazi che ospitano una sola persona, si utilizzano più elettrodomestici monoutente. Tutto questo genera più rifiuti, più emissioni, più costi.

I brand che hanno costruito imperi sull’individuo solitario

Alcune aziende hanno capito prima di altre che l’individuo isolato è una miniera d’oro. E hanno strutturato la propria proposta proprio intorno a lui.

Netflix, per esempio, ha destrutturato la visione collettiva della TV, rendendola personale, adattiva, silenziosa. Guardi ciò che vuoi, quando vuoi, da solo.

Spotify ha reso l’ascolto musicale un’esperienza intima e identitaria. Le tue playlist ti definiscono. Nessuno ascolta più ciò che ascolta il gruppo.

Amazon ti promette tutto e subito, senza dover uscire, parlare, confrontarti. Con un clic, puoi riempire una giornata vuota.

Glovo, Deliveroo, Uber Eats ti portano a casa qualsiasi cosa tu voglia, senza bisogno di cucinare o incontrare persone. Un pasto per uno, in 20 minuti.

TikTok ti tiene compagnia nei momenti morti. Ti distrae, ti fa sentire parte di qualcosa — anche se sei solo in camera, alle 2 di notte.

Sono aziende straordinarie, con modelli vincenti. Ma rappresentano anche il sintomo di un mondo che ha sostituito la relazione con l’interfaccia, la condivisione con la personalizzazione, la lentezza con la gratificazione istantanea.

Ma tutto questo ha un prezzo

Il prezzo è alto. E lo stiamo pagando lentamente, senza accorgercene.

Ci siamo abituati a non parlare, a non aspettare, a non condividere. A comprare qualcosa ogni volta che ci sentiamo tristi, annoiati, soli. A ordinare cibo invece di invitarci a cena. A guardare una serie invece di fare due chiacchiere. A colmare il vuoto con una notifica.

Questa solitudine normalizzata genera più consumo, più rifiuti, più stress, più depressione. E, ironia della sorte, ci fa sentire ancora più soli.

E ora?

Le aziende hanno davanti a sé una scelta fondamentale.

Possono continuare a costruire su questa fragilità — a vendere di più, più in fretta, più in profondità. Oppure possono iniziare a curare le relazioni, a stimolare momenti condivisi, a proporre esperienze che creano connessione vera.

Alcuni brand lo stanno già facendo. Librerie che tornano a essere luoghi d’incontro. Ristoranti che propongono tavoli condivisi. App che facilitano la socialità anziché l’isolamento. Sono segnali deboli, ma reali.

La vera sfida del marketing non sarà più conoscere tutto di ciascuno. Sarà farci riscoprire il valore del “noi”.

La forza è non avere bisogno di nessuno

Ci hanno insegnato che la libertà è stare soli. Che la forza è non avere bisogno di nessuno. Ma forse, nel profondo, sappiamo che non è così. E che condividere, cooperare, appartenere sono le vere forme di ricchezza.

Il consumo può essere un atto solitario. Ma può anche diventare una scelta relazionale, sensata, generativa.

Dipende da noi. E da chi ci parla ogni giorno, attraverso un messaggio, un prodotto, una storia.

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