Introduzione: la sfida del nostro tempo

Ogni giorno produciamo rifiuti che potrebbero avere una seconda vita. Eppure, gran parte di ciò che scartiamo finisce in discarica o viene incenerito, alimentando un modello insostenibile. I numeri sono impressionanti, ma non bastano a cambiare le abitudini. Serve una nuova prospettiva: non più solo riciclare, ma riutilizzare. Questo articolo esplora il passaggio cruciale dal riciclo al riuso, analizzando dati, normative e buone pratiche europee. Perché la vera rivoluzione non è tecnologica, ma culturale.

 

Rifiuti: i dati e le previsioni della World Bank

Sebbene crediamo di vivere nell’epoca del consumismo consapevole – in cui il consumo resta centrale per economia e cultura, ma sempre più mediato da valori come sostenibilità, riuso, riduzione degli sprechi e identità etica, ma in realtà i dati ci dicono tutt’altro – i dati raccontano una realtà diversa. Secondo il rapporto What a waste 2.0: A Global Snapshot of Solid Waste Management to 20250, ogni giorno, ogni persona produce in media 0,74 kg di rifiuti (dato che sale a 2 kg nei paesi più ricchi). Ciò significa che nel mondo, ogni giorno, vengono prodotti 3,5 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, ovvero 2 miliardi di tonnellate all’anno, con una crescita stimata a 3,4 miliardi entro il 2050.

A incidere maggiormente sulla produzione globale di rifiuti sono i paesi ad alto reddito, come Europa, Stati Uniti e Canada, che generano circa il 34% dei rifiuti mondiali, rispetto ai paesi a basso reddito, come molte regioni dell’Africa e del Sud-est asiatico, che ne producono solo il 10%. Tuttavia, i paesi ad alto reddito riescono a recuperare circa il 31% dei materiali attraverso processi di riciclo e compostaggio (sebbene con diverse criticità, l’Italia, secondo i dati Ispra 2024, è tra i Paesi europei con le migliori performance di riciclo, con oltre il 52% dei rifiuti urbani avviati a recupero), mentre i paesi a basso reddito incontrano gravi difficoltà nello smaltimento a causa della mancanza di infrastrutture adeguate. In queste aree, circa il 90% dei rifiuti viene ancora destinato a discariche o incenerito, mentre solo il 4% viene avviato a processi di riciclo.

È evidente, i dati parlano chiaro. In assenza di adeguate strategie finalizzate ad incentivare processi di riuso e riciclo, tra poco più di 30 anni, ogni anno potremmo arrivare a produrre circa 31,4 miliardi di tonnellate di scarti solidi urbani. Di fronte a questi numeri, è evidente che la retorica del consumismo consapevole non basta: servono politiche concrete, strumenti innovativi e un cambio di mentalità collettivo. La sfida, infatti, non è solo ridurre la quantità di rifiuti prodotti, ma soprattutto costruire sistemi capaci di valorizzare ciò che consideriamo ‘scarto’, trasformandolo in risorsa. È qui che entrano in gioco le azioni da intraprendere – dalle strategie globali alle pratiche quotidiane – per invertire davvero la rotta.”

 

Le azioni da intraprendere per una corretta gestione dei rifiuti

La Direttiva 2008/98/CE, successivamente modificata dalla Direttiva (UE) 2018/851, ha difatti definito una gerarchia vincolante di priorità nella gestione dei rifiuti, che rappresenta il quadro di riferimento per le politiche ambientali europee e nazionali. Tale gerarchia, riconosciuta come principio cardine della normativa comunitaria, stabilisce il seguente ordine di azioni:

  1. Prevenzione
  2. Riutilizzo e preparazione al riutilizzo
  3. Riciclaggio
  4. Recupero
  5. Smaltimento

Sebbene nel linguaggio comune termini quali riciclo, riutilizzo e recupero vengano talvolta utilizzati in modo intercambiabile, dal punto di vista tecnico e giuridico si tratta di concetti distinti, con differenti impatti ambientali e conseguenze normative. La distinzione è cruciale: solo una corretta comprensione e applicazione di tali principi consente di orientare le strategie pubbliche, i modelli aziendali e i comportamenti individuali verso un’autentica economia circolare, capace di ridurre l’impatto ambientale complessivo e ottimizzare l’uso delle risorse.

In particolare, la Direttiva 2008/98/CE, art. 3, punto 17 e il D.Lgs. 152/2006, art. 183, comma 1, lettera u, definisce:

Riciclaggio: qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri scopi”

Come indicato nella gerarchia europea dei rifiuti, il riciclo rappresenta si un processo fondamentale ma allo stesso tempo anche complesso che richiede un’accurata operazione di raccolta differenziata dei rifiuti ma anche impianti dedicati e un elevato dispendio di energia per la trasformazione del rifiuto in nuova materia prima o in un nuovo prodotto attraverso l’uso di processi tecnici ed industriali (es. la carta che torna ad essere carta o la plastica che, attraverso processi industriali, viene trasformata in filato).

A differenza, la Direttiva 2008/98/CE, art.3, punto 13 e il D.Lgs. 152/2006, art. 183, comma 1, lettera r, definisce:

Riutilizzo: qualsiasi operazione mediante la quale prodotti e componenti che non sono rifiuti sono impiegati di nuovo per la stessa funzione per la quale erano stati concepiti”

Questa definizione evidenzia un aspetto cruciale: il riutilizzo non richiede alcun tipo di trasformazione complessa ed è per questo motivo che è considerato prioritario rispetto al riciclaggio. I rifiuti, infatti, vengono ridotti direttamente a monte, evitando così nuovi consumi.

Nel quadro normativo europeo e italiano, le diverse azioni non hanno lo stesso grado di priorità: il riutilizzo, comprensivo della preparazione al riutilizzo, occupa una posizione centrale nelle strategie di riduzione dei rifiuti e di valorizzazione delle risorse, costituendo al contempo una delle sfide più rilevanti e promettenti per l’attuazione concreta dell’economia circolare. Infatti, è questa la direzione verso cui si orienta il nuovo Regolamento (UE) 2025/40 – Packaging & Packaging Waste Regulation, che entrerà in vigore il 12 agosto 2026, con un periodo di transizione di 18 mesi a partire dall’entrata in vigore. Questo regolamento rappresenta un passo significativo verso un’economia circolare più efficiente e sostenibile stabilendo norme vincolanti finalizzate alla riduzione della produzione di rifiuti di imballaggio, alla promozione del riutilizzo e al miglioramento della riciclabilità degli imballaggi in tutta l’Unione Europea. Il suo obiettivo è ambizioso: ridurre del 15% i rifiuti da imballaggi entro il 2040, rispetto ai livelli del 2018. Per raggiungere questo traguardo, il regolamento introduce misure vincolanti e innovative, tra cui:

  • Promozione del riutilizzo: vengono fissati obiettivi specifici per il riutilizzo degli imballaggi, con target distinti per diversi tipi di imballaggi (ad esempio, imballaggi destinati al trasporto e alla vendita). Entro il 2030, è previsto che almeno il 40% degli imballaggi destinati al trasporto e alla vendita siano riutilizzabili. Ciò comporta l’obbligo di ripensare la catena distributiva – soprattutto nel retail – per privilegiare imballaggi riutilizzabili.
  • Riciclabilità e contenuto riciclato: gli imballaggi devono essere progettati per essere facilmente riciclabili. Inoltre, è previsto un aumento dell’uso di materiali riciclati nella produzione di nuovi imballaggi.
  • Limitazione degli imballaggi monouso: il regolamento introduce restrizioni sull’uso di determinati tipi di imballaggi monouso, promuovendo alternative più sostenibili.
  • Sicurezza e salute: vengono stabiliti requisiti per limitare l’uso di sostanze tossiche negli imballaggi, al fine di proteggere la salute umana e l’ambiente.

In alcuni Paesi europei, come Germania, Danimarca e Paesi Bassi, il riuso è già una pratica consolidata, sostenuta da infrastrutture efficienti e da una cultura ambientale radicata. Emblematico il caso di Aarhus, in Danimarca, dove un progetto triennale ha permesso la restituzione di oltre 750.000 bicchieri da takeaway solo nel primo anno, evitando l’equivalente di 7.500 bidoni di rifiuti. Il PPWR rappresenta dunque una svolta normativa e culturale, che impone a imprese, istituzioni e cittadini di ripensare l’intero ciclo di vita degli imballaggi. La sfida non è scegliere tra riuso e riciclo, ma integrare entrambi in un sistema virtuoso, capace di ridurre l’impatto ambientale e rigenerare valore. In questo contesto, il ruolo del consumatore diventa centrale: le sue scelte di acquisto, orientate sempre più verso packaging sostenibili, possono accelerare la transizione e premiare le aziende che investono in soluzioni circolari.

Riusare per rigenerare: il futuro è nelle nostre mani

I dati parlano chiaro: il modello attuale di consumo non è sostenibile. La retorica del “consumismo consapevole” rischia di restare vuota se non accompagnata da scelte concrete, da politiche coraggiose e da una trasformazione culturale profonda.

In questo scenario, il riutilizzo non è solo una pratica virtuosa, ma una vera e propria strategia di rigenerazione. È il gesto che riduce i rifiuti alla fonte, valorizza le risorse esistenti e ci riconnette con una saggezza antica, quella del “non si butta via niente”.

 

Se guardiamo alla storia, scopriamo che l’essere umano nasce sostenibile. Nella preistoria, ogni parte dell’animale cacciato veniva utilizzata: ossa per utensili, pelli per abiti, tendini per legature. Nulla era sprecato, perché ogni risorsa era preziosa. Lo stesso spirito ha attraversato i secoli: durante le guerre e nei periodi di carestia, il riuso era una regola di sopravvivenza. I nostri nonni riparavano, riadattavano, conservavano. La sostenibilità non era una scelta, ma una necessità.

 

Oggi, invece, viviamo in un sistema economico che ha reso la sostenibilità un concetto complesso e spesso contraddittorio. L’eccesso di produzione, la smania di possesso, la cultura dell’usa e getta e il marketing che ci vende anche l’inutile hanno offuscato la percezione dell’essenziale. Secondo uno studio SAP, l’83% dei consumatori italiani riconosce l’importanza di ripensare il design dei prodotti e il ciclo di vita degli oggetti, ma solo il 60% è disposto a pagare di più per un prodotto sostenibile. Questo dimostra che la consapevolezza esiste, ma fatica a tradursi in azione.

Nel frattempo, l’Unione Europea ha avviato una transizione verso l’economia circolare, con obiettivi ambiziosi: entro il 2030, almeno il 25% dei materiali utilizzati dovrà provenire dal riciclo, e saranno incentivati il diritto alla riparazione, la progettazione ecocompatibile e la riduzione degli imballaggi superflui. Ma la vera sfida non è normativa: è culturale.

 

Da dove ripartire, allora, per tornare sostenibili? Dall’uomo. Dalla sua capacità di riscoprire il valore delle cose, di scegliere con consapevolezza, di riconoscere che la vera ricchezza non sta nell’accumulo, ma nella cura. La sostenibilità non è solo una questione ambientale: è una questione di senso. E il senso, come la sostenibilità, nasce da ciò che siamo capaci di riusare, rigenerare, rispettare.

 Fonti

  • World Bank – What a Waste 2.0: A Global Snapshot of Solid Waste Management to 2050
  • ISPRA – Rapporto Rifiuti Urbani 2024
  • Direttiva 2008/98/CE e Direttiva (UE) 2018/851
  • Lgs. 152/2006, art. 183
  • Regolamento (UE) 2025/40
  • Packaging & Packaging Waste Regulation (PPWR)
  • Nomisma – Studio su Italia, Germania e Stati Uniti
  • Conai – Consorzi di filiera

“Il passaggio dal riciclo al riuso non è soltanto una sfida ambientale, ma un’opportunità di innovazione e competitività per imprese e istituzioni. Business Intelligence Group supporta aziende e organizzazioni nello sviluppo di progetti di ricerca e strategie orientate all’economia circolare, coniugando dati, tecnologia e sostenibilità. Contattaci per approfondire l’argomento e avviare insieme un percorso che metta al centro innovazione e responsabilità ambientale.”