Durante la pandemia si è dibattuto molto di come cambierà il lavoro e quali saranno le nuove opportunità lavorative grazie alla diffusione delle nuove tecnologie intelligenti. Tra gli argomenti al centro della discussione si è parlato molto di Telelavoro e Smartworking. Questi due concetti, soprattutto nei media, sono stati utilizzati come sinonimi:

  • Telelavoro fungeva da termine italiano “di massa”,
  • Smartworking era l’espressione “più dotta” di chi sfoggia la propria conoscenza dell’inglese.

Il fatto è che questi due vocaboli esprimono due differenti concetti che non vanno confusi.

Le definizioni

Il telelavoro può essere inteso come un modo di lavorare indipendente dalla localizzazione geografica dell’ufficio o dell’azienda. È facilitato dall’ uso di strumenti informatici e telematici ed è caratterizzato da una flessibilità sia nell’organizzazione che nella modalità di svolgimento.

Lo Smartworking, ovvero il lavoro intelligente, continua a sottintendere una prestazione lavorativa svolta senza una postazione fissa.

L’ Osservatorio del Politecnico di Milano, però, lo definisce” come:

“una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

E’ un modello organizzativo che interviene nel rapporto tra individuo e azienda. Propone autonomia nelle modalità di lavoro a fronte del raggiungimento dei risultati.

L’ impatto del #Covid19

Nei mesi che ci siamo appena lasciati alle spalle oltre 6 milioni di lavoratori hanno sperimentato un diverso modo di lavorare. Si è trattato sostanzialmente di telelavoro, ovvero di semplice lavoro a distanza. Questa situazione ha però aperto interessanti prospettive per un’adozione più diffusa dello Smart Working nel nostro Paese.

Infatti secondo una rilevazione dell’Oservatorio Smart working del Politecnico di Milano:

  • Il 68% dei lavoratori è riuscito da remoto a svolgere tutte le attività,
  • il 29% non è riuscito a svolgere solo una parte delle attività, spesso a causa della mancanza di processi e dati digitalizzati
  • il 3% dichiara di non essere riuscito a portare avanti la maggior parte delle attività.

Da un recente studio, inoltre, risulta che:

  • il 6,4% dei lavoratori pubblici vorrebbe tornare a lavorare come un tempo,
  • oltre il 93% vorrebbe proseguire con lo Smart Working,
    • di questi il 27,6% sceglierebbe di lavorare sempre da remoto,
    • il 66% vorrebbe bilanciare lavoro remoto e in presenza.

Una larghissima maggioranza dei lavoratori inoltre (89%) pensa comunque che l’emergenza abbia permesso di acquisire un’esperienza preziosa che vada capitalizzata per il futuro.

Non si tratta di una semplice riorganizzazione

Da una recente intervista con l’amministratore delegato di IKEA risulta che durante questo periodo i “best selling products” sono stati i prodotti per ufficio da casa.

In un altro articolo apparso sul “The Guardian” risulta che la catena di fast organic food, Pret a Manger, chiuderà 30 negozi in UK  e mette a rischio 1000 posti di lavoro. Il problema di base  è che con il  lavoro da casa è venuto a mancare il giro d’affari legato alla pausa pranzo. Il risultato è una contrazione del 75% delle vendite. Le società di trasporto pubblico registrano problemi economici legati al calo dei fatturati. Potremmo dire che in un certo senso stiamo assistendo agli effetti di una ulteriore rivoluzione industriale. Un passo avanti rispetto le considerazioni fatte fino ad oggi  sulla automazione che sostituisce e riduce il lavoro umano. Non saranno pertanto in futuro solamente le abitudini d’acquisto a cambiare le regole del mercato ma sarà soprattutto la nuova organizzazione strutturale che l’economia dovrà darsi.