Quale sarà il futuro del settore brico nel periodo post lockdown?

Dalla necessità di differenziare la produzione all’ipotesi di ripensare a nuovi format distributivi, ecco le previsioni di retailer e produttori per i mesi che verranno.

Ecco le previsioni di retailer e produttori nel post lockdown

Come sta cambiando il mondo del bricogarden in questa fase emergenziale e, soprattutto, come cambierà una volta concluso il periodo di isolamento totale?

Questo è uno degli interrogativi che tutto il comparto si pone. Per cercare di fare chiarezza attorno agli sviluppi, odierni e futuri noi di Business Intelligence Group abbiamo lanciato un sondaggio, aggiornato a fine marzo, indirizzato alle imprese distributive e produttive del settore brico-homegarden.
Scopo della survey era capire come è mutata l’attività lavorativa nel quotidiano, come stanno cambiando le relazioni con le altre aziende del settore e, soprattutto, quali sono i cambiamenti più importanti che ci attendono dopo la quarantena.

Le domande, tutte con risposte aperte, sono state realizzate esclusivamente a direttori marketing, direttori vendite e amministratori delegati, ovvero a figure professionali che possano prendere le decisioni dell’azienda.

Si crede che la vendita di alcune categorie si sposterà online. Si dovranno, dunque, riconsiderare le dimensioni dei negozi. Hanno senso superfici espositive vaste, se l’assortimento è inferiore?

UNA VARIABILE DAVVERO ‘DISRUPTIVE’

Una prima evidenza, forse scontata, è che tutti i piani aziendali previsionali e a medio-lungo termine sono saltati; la variabile Coronavirus è vissuta come un elemento che cambia in maniera sostanziale il modo di fare business. Da qui nasce un forte senso di incertezza sui tempi di ripartenza dell’attività commerciale, in parte generata anche dalla poca chiarezza espressa in merito dalle Istituzioni.

LA QUESTIONE ECONOMICA

La principale preoccupazione degli intervistati è di carattere economico e finanziario. Sia industria che retail devono far fronte alle spese vive mentre il mercato, in Italia come all’estero, è fermo, e quindi non c’è modo di incamerare nuovi introiti. Si evidenzia la difficoltà a rispettare le scadenze di pagamento, dato che non c’è la liquidità necessaria per soddisfarle. Un problema, quest’ultimo, che accomuna tanti attori del mercato ma, prevalentemente, quelli medio-piccoli.
In base ai nostri dati, sono sempre le Pmi che si stanno esponendo di più per trovare nuove risorse per ripartire, una volta superato lo stato di crisi, dimostrando complessivamentepiù dinamismo rispetto alla media dei grossi player. Proprio per fronteggiare i prossimi mesi, molti operatori, sia dell’industria che della distribuzione, stanno cominciando realmente a ‘fare sistema’, a scambiarsi informazioni e suggerimenti e anche a sviluppare delle progettualità comuni e condivise. Evidentemente ci si è resi conto che, nei momenti difficili, non c’è uno che vince e l‘altro che perde: se le soluzioni non si trovano, si perde tutti.

I LIMITI DELLO SMART WORKING

A cambiare, come ben noto, è anche il modo di lavorare. Dove possibile, infatti, le aziende hanno attivato la modalità smart working. E’ vero che, per il mondo dei servizi o per chi ha un’attività impiegatizia, il tele-lavoro può essere una soluzione percorribile e funzionale. Però, come tanti colleghi sanno, nel nostro settore serve sempre qualcuno che fisicamente si metta a produrre, qualcuno che movimenti le merci e del personale che, in store, venda quelle merci.

I negozi post lockdown saranno più piccoli?

I negozi post lockdown saranno più piccoli?

Detto che il lavoro dell’esercente non può essere delegato ai sistemi telematici, si aprono però degli interrogativi relativi a come dovrà essere concepita l’attività da oggi in poi.

Innanzitutto, la lezione che tutti i commercianti hanno appreso in queste settimane è che l’ecommerce è un servizio che va implementato. La ragione è ovvia: il cliente (anche di fasce d’età più elevate) sta imparando a comprare online e a farsi portare la merce a domicilio. E, una volta che si adotta un nuovo sistema di acquisto e lo si fa diventare una consuetudine, è difficile tornare alle abitudini precedenti. Sia chiaro: questo vale solo per alcune tipologie di prodotto. Soprattutto nel mondo del fai da te, determinate merceologie andranno sempre viste, toccate e spiegate in negozio. Ciò detto, in molti sono convinti che la vendita di una serie di categorie si sposterà progressivamente sull’online. Questo cosa significa? Che si dovranno riconsiderare le dimensioni dei negozi: ha senso avere superfici espositive troppo vaste, se l’assortimento è inferiore? Sono certo che su questo tema non solo si dibatterà parecchio, ma probabilmente si accentuerà la tendenza, già rilevata negli scorsi anni, a sperimentare format di vendita ibridi e mediamente di dimensioni minori.

I nuovi bisogni post lockdown

L’attuale condizione di isolamento che stiamo vivendo, e la minor spinta alla socialità determinata dal virus, sta portando il cliente a far da sé molte attività di bricolage prima delegate a terzi. La tendenza a realizzare da soli i propri progetti, unita alle possibilità offerte oggi dalla tecnologia, potrebbe portare a sviluppi inaspettati, e per certi versi ‘fantascientifici’, del mercato: per esempio, più di un rispondente al sondaggio immagina il diffondersi su larga scala di soluzioni come le stampanti 3D. Al di là di queste ipotesi più o meno immaginifiche, un elemento è certo: il consumatore avrà bisogno di proposte commerciali che sappiano rispondere alla sua necessità di autoproduzione dei prodotti.

Bisogna puntare sulle cose tangibili

Le aziende quindi dovranno essere in grado di differenziare le produzioni, nell’ottica di intercettare i nuovi need dei consumatori. E questo – a onor del vero – i produttori stanno già dimostrando di saperlo fare: per esempio molti player, di svariati settori merceologici, hanno scelto di riconvertire parte della propria produzione in soluzioni igienizzanti per le mani o per le superfici.
Probabilmente, però, servirà fare ancora di più. Le imprese di domani, a mio parere, dovranno saper puntare maggiormente su fattori tangibili. Mi spiego meglio. Le aziende che hanno investito in modo profondo sul proprio processo produttivo – ovvero ne controllano diverse parti o hanno in casa ‘il cuore’ del mestiere – probabilmente faranno meno fatica ad evolvere e ad adattarsi al nuovo modo di fare business. Mentre le aziende che, per strategia, rivendono, assemblano, o comunque dipendono in buona parte da altri, potrebbero avere qualche problema in più da affrontare.

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